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Gli insight che ci siamo portati via dall’eMetrics 2016

Per fare conversion rate optimization (CRO) in maniera efficace, innanzitutto hai bisogno di raccogliere ed analizzare due informazioni complementari: quantitative, per capire dov’è il problema; qualitative, per capire perché c’è il problema.

Poi, sulla base di queste informazioni, generi delle ipotesi, e andrai a testare delle possibili soluzioni, con l’obiettivo di ottimizzare le performance di conversione del tuo business online.

Generare delle ipotesi sensate è una delle parti a cui devi dedicare la maggiore attenzione, altrimenti è probabile che sprecherai tempo con numerosi test che non porteranno alcun risultato.

Questi, in brevissimo, i concetti chiave che ci siamo portati a casa dall’eMetrics, uno degli eventi più importanti di Digital Analytics, che si è svolto all’interno di SMXL 2016 di Milano.

Assieme alla mia collega Elena Nesi, siamo andati in rappresentanza di Databeat, con in più l’emozionante opportunità di effettuare un nostro speech durante la sessione della mattina, in collaborazione con Altura Labs.

(se vuoi ricevere le slide della nostra presentazione, scrivimi a gabriele.rapino@databeat.it)

In questo post, raccontiamo in breve gli interventi a cui abbiamo assistito. Non seguiremo un ordine cronologico, quanto piuttosto un filo logico, cercando di riassumere quello che abbiamo visto in un ragionamento unico.

Premessa: cos’è il CRO in brevissimo

L’attività di conversion rate optimization (CRO) ha l’obiettivo di incrementare le performance di conversione di un business online. E’ riassumibile in un ciclo di 5 macro-step, da eseguire in maniera iterativa:

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Con sistemi di tracciamento analytics (es. Google Analytics) e altri tool (es. heatmap, survey forms o video recording) misuriamo i dati del nostro sito web e raccogliamo informazioni qualitative, che andremo poi ad analizzare, per individuare il punto più critico di abbandono del funnel di conversione.

Una volta localizzato il punto critico, dovremo generare delle ipotesi sulle cause del problema e produrre delle soluzioni da testare.

Per testare una soluzione, possiamo effettuare un A/B test, con uno strumento come Optimizely o VWO.

Durante il test, ad una parte degli utenti che visitano il nostro sito viene mostrata la pagina originale, quella che contiene il problema; ad un’altra parte di utenti viene invece mostrata una pagina alternativa, contenente la soluzione che vogliamo testare.

Maxime Lorant - https://commons.wikimedia.org/wiki/File:A-B_testing_simple_example.png

Maxime Lorant – https://commons.wikimedia.org/wiki/File:A-B_testing_simple_example.png. CC-BY-SA-4.0

Al termine del test, se la versione con la soluzione mostra una differenza di performance statisticamente significativa sulla pagina originale, rispetto al nostro KPI obiettivo (es. il tasso di conversione e-commerce), andremo ad implementare la soluzione in produzione (lo step “azioni”), a sostituzione definitiva della pagina originale problematica. E ricominciamo il ciclo, a partire dal successivo punto di abbandono che riteniamo più critico.

Uno step fondamentale: la generazione delle ipotesi

In questo ciclo di conversion rate optimization, uno degli step più importanti è la generazione delle ipotesi.

Se sbagli questo step, ti troverai a ipotizzare la presenza di problemi scarsamente rilevanti rispetto al tuo business, e a testare soluzioni inefficaci.

Questo è uno dei motivi per cui molte aziende effettuano centinaia di test ogni anno, impiegando team numerosi (che generano un costo elevato), senza produrre alcun miglioramento di performance: questo è stato evidenziato da tutti gli speaker che hanno parlato di CRO, nel pomeriggio dell’eMetrics e a cui abbiamo assistito, tra cui Khalid Saleh, CEO di Invesp.

Khalid Saleh, CEO, Invesp

Khalid Saleh, CEO, Invesp

Come generare allora delle ipotesi sensate, e produrre delle soluzioni efficaci, massimizzando quindi il ritorno sull’investimento di una attività di conversion rate optimization?

Innanzitutto dobbiamo assicurarci di avere individuato il vero punto critico del nostro funnel di conversione. L’analisi dei dati quantitativi ci può (e ci deve sempre) essere di aiuto, ma potrebbe non bastare.

Raccogliere ed analizzare dati qualitativi, come sondaggi “live” agli utenti che navigano, video-registrare le sessioni di navigazione degli utenti, ingaggiare test panels, e, in generale, mettersi nei panni dei propri utenti, è fondamentale per poter capire qual’è effettivamente il problema di un funnel di conversione.

Questo punto è stato evidenziato, per esempio, da David Darmanin, CEO e fondatore di HotJar, piattaforma multi-tool molto popolare per il conversion rate optimization.

David Darmanin

David Darmanin CEO e fondatore di HotJar

Lo stesso punto, e la necessità di effettuare una estensiva e approfondita ricerca prima di effettuare un A/B test, è stato evidenziato da Rosario Toscano, Head of CRO di Moca Interactive.

Inoltre, ancora prima di indagare su aspetti di motivazione e usabilità, è molto utile verificare che non vi siano bug o problemi di performance del sito, che molto spesso sono una causa importante degli abbandoni da parte egli utenti e risolvibile in maniera semplice.

Rosario Toscano, Head of CRO di Moca Interactive

Rosario Toscano, Head of CRO di Moca Interactive

Anche John Ekman, fondatore di Conversionista, nel suo speech “Converting: Reporting or optimizing?” ha rimarcato che l’analisi quantitativa degli analytics non basta:

infatti, il problema di un funnel di conversione spesso non è il punto con il maggiore drop-off

In un esempio, ha illustrato come gli utenti di un suo cliente abbandonavano spesso un form di registrazione non perchè il form avesse un problema, ma perchè la landing page precedente non forniva sufficienti informazioni; gli utenti proseguivano verso il form per cercarle, visto che era l’unica strada verso cui potevano andare, ma, non trovandole, lo abbandonavano.

La soluzione è stata trovata introducendo, accanto alla call to action primaria (“Registrati”), una seconda call to action nella landing page, che diceva all’utente: “Vuoi più informazioni?”, fornendo all’utente la possibilità di approfondire i vantaggi del servizio offerto.

Il risultato è stato un incremento delle conversioni complessive, che ha sfatato anche un altro mito, cioè che fornire più scelte agli utenti in una landing page abbassa il conversion rate.

John Ekman

John Ekman, fondatore di Conversionista.

Per generare ipotesi sensate e trovare soluzioni che funzionano, un ulteriore metodo è l’utilizzo della psicologia cognitiva, come efficacemente illustrato da Bart Schutz, co-fondatore di Online Dialogue, nel suo speech “Converting: Persuasion Science“.

Nel nostro cervello vi sono due “parti” che agiscono in parallelo, e spesso in maniera antagonista:

  • Sistema 1, guidato dal nostro subconscio, e che genera risposte intuitive, immediate ed automatiche
  • Sistema 2, il nostro conscio, che utilizziamo quando analizziamo le situazioni in maniera razionale

Le nostre azioni sono spesso fortemente influenzate dal Sistema 1, nonostante noi crediamo di averne il controllo con il Sistema 2.

Questo effetto può essere sfruttato per identificare le problematiche di un sito web e immaginare (e testare) le relative soluzioni.

Bart ha illustrato un esempio dove il layout della versione mobile di una landing page è stato pesantemente ridotto nel numero di elementi grafici, per evitare un eccessivo carico cognitivo ad utenti che tipicamente guardavano la pagina a fine giornata, quando erano stanchi.

Bart Schutz, co-fondatore di Online Dialogue

Bart Schutz, co-fondatore di Online Dialogue

Con tutti questi interventi, abbiamo quindi capito bene l’importanza dell’analisi qualitativa accanto a quella quantitativa e di una estensiva indagine prima di effettuare A/B test.

Di conseguenza, è fondamentale l’utilizzo di strumenti complementari ad analytics, che ci forniscono insight fondamentali per questo tipo di indagine.

Un altro step fondamentale: il tracciamento

Per il ciclo di conversion rate optimization, gli strumenti di analytics restano comunque indispensabili per capire dov’è il problema.

(…e qui dobbiamo auto-citarci! 🙂 )

Tuttavia, uno degli errori che spesso commettiamo in questa fase, è di cercare di analizzare un fenomeno molto complesso e non lineare, come il comportamento degli utenti di un sito web, senza averlo modellizzato prima in maniera semplificata.

Questo infatti ci può portare a mancare il “big picture”, e ad eseguire o analisi dal dettaglio eccessivo e non utile (es. analizzare la navigazione tra pagine individuali, in un sito di migliaia di pagine), o analisi troppo aggregate (es. ignorare che vi sono segmenti di utenza dal comportamento differente).

Consigliamo invece di impostare il tracciamento, e la conseguente analisi, secondo un modello con queste 4 componenti:

  • Pagine aggregate in aree funzionali (es. Home, pagine prodotto, pagine di navigazione, pagine di acquisto, ecc.)
  • Utenti suddivisi in segmenti dal comportamento simile (es. nuovi utenti, clienti saltuari, clienti ossessivo-compulsivi, ecc.)
  • Gruppi di azioni, aggregate per scopo (es. Ricerca prodotti, Valutazione prodotti, Ricerca informazioni, Azioni di acquisto)
  • Canali di acquisizione, aggregati per scopo, per target o per altri criteri

Con questo modello, analizzeremo quindi segmenti di utenza che entrano sul sito da canali di acquisizione, navigano tra aree funzionali e compiono gruppi di azioni.

Sufficientemente descrittivo per modellizzare il comportamento degli utenti, ma semplificato, per permetterci di comprendere il “big picture”: indispensabile quando analizziamo i comportamenti di utenti reali, che tipicamente sono multi-sessione, multi-canale e multi-device.

Gabriele Rapino, Partner & Founder di Databeat

Gabriele Rapino, Partner & Founder di Databeat

Sempre in fase di analisi è molto utile la data visualization, perchè, fatta con criterio, ci permette di trasmettere informazioni in maniera immediata ed efficace, sia ai nostri clienti che all’interno della nostra azienda.

Questo è stato l’argomento presentato da Filippo Trocca, Head of Digital Intelligence di 3rdPLACE, che ha illustrato come con pochi accorgimenti è possibile aumentare in maniera significativa l’efficacia comunicativa dei grafici e, in generale, dei dati rappresentati.

Uno strumento utile allo scopo è Google Data Studio, di recente reso disponibile da Google anche in Italia e di cui Filippo ha mostrato una breve presentazione live, su come creare un grafico in pochi semplici step.

Filippo Trocca, Head of Digital Intelligence, 3rdPLACE

Filippo Trocca, Head of Digital Intelligence, 3rdPLACE

Molto interessanti sono stati anche gli interventi di Purna Virji Senior Ads Client Dev. di Bing & Training Specialist, dello specialista di Digital Analytics Enrico Pavan, dal titolo “Converting: Personalizzare per convertire” e di Anna Covonesulle metriche realmente importanti per analizzare un canale YouTube.

Purna Virji Senior Bing Ads Client Dev. & Training Specialist

Purna Virji, Senior Bing Ads Client Dev

Anna Covone, Consulente, TuttosuYouTube

Anna Covone, Consulente, TuttosuYouTube

Vorremmo veramente aver potuto raccontare tutti gli interventi e tutti i protagonisti dell’evento, ma per questa volta, poichè il nostro tempo è limitato, questo è. 🙂

Un saluto e un ringraziamento a Gianpaolo Lorusso e ad Ale Agostini per avere organizzato e moderato in maniera egregia tutti gli interventi dell’eMetrics.

E’ stato estremamente utile e interessante, e ci siamo divertiti moltissimo.

A presto! 🙂

Gabriele